I motori tedeschi non stanno passando un buon momento. A voler essere maliziosi, potrebbe esser questo uno dei motivi della recente "spintarella" che la Merkel e il suo entourage vogliono dare al mercato delle auto a emissioni zero. Perché se è vero che l'elettrico rappresenta la nuova frontiera di una guida "pulita" e poco inquinante, è altrettanto vero che i numeri che lo riguardano sono ancora impietosi, in Germania come altrove: poche immatricolazioni, prezzi elevati, scarsa diffusione di stazioni per la ricarica e lunghi tempi per eseguirla rispetto a un rifornimento di benzina o diesel.

Secondo i quotidiani tedeschi, il ministro dell'economia Sigmar Gabriel avrebbe pianificato di investire 2 miliardi di euro per promuovere la mobilità elettrica, con l'intento di perseguire l'obiettivo paventato da Angela Merkel nel 2013, ovvero di avere su strada un milione di veicoli elettrici entro il 2020: numerosi esperti lo ritengono un traguardo irrealizzabile, con solo cinque anni a disposizione e la tendenza restia dei tedeschi a puntare su questa soluzione. Se guardiamo ai numeri dello scorso anno, in un mercato da 3,2 milioni di unità vendute, sono state immatricolate solo 12.363 auto a batterie e 11.101 ibride plug-in; oggi sulle strade tedesche viaggiano 140.000 veicoli elettrici (il milione è lontano).

Il ragionamento è semplice: le case automobilistiche investono (giustamente) su queste tecnologie, le vendite sono scarse, ergo al governo tocca metterci una pezza. Secondo il Der Spiegel il progetto del Bundestag prevede:

  • bonus di 5.000 euro per l'acquisto di auto elettriche o ibride plug-in (di questi soldi, 1.500/2.000 euro dovrebbero provenire dalle case costruttrici);
  • costruzione di 16.000 colonnine di ricarica;
  • rinforzo del parco auto elettriche delle istituzioni, fino a una quota del 30%.

Che sia o meno un aiuto ai marchi automobilistici, l'attenzione delle istituzioni a questo tipo di problematiche è sicuramente un fatto positivo; in un articolo di ben tre anni fa avevamo parlato del caso virtuoso del Giappone, dove il governo aveva promosso la collaborazione tra Toyota, Nissan, Honda e Mitsubishi per lo sviluppo delle infrastrutture di ricarica. Bene, nel 2015 il Giappone è arrivato, primo paese nel mondo, al turning point: le colonnine per la ricarica elettrica hanno superato i distributori di benzina, gasolio e gas, 40.000 contro 34.000. Il Sol Levante va considerato un mondo a sé stante per diversi motivi, ma non c'è dubbio che i suoi traguardi possano fungere da buon esempio per tutti gli altri paesi.

Permetteteci però di ricordare un punto "critico". Le auto elettriche aiutano sì a far diminuire il livello di inquinamento, ma non sono certo le uniche a poterlo fare. Il traffico privato è responsabile solo in piccola parte del consumo di combustibili fossili, e le cause delle famose (e pericolose) PM10 sono da ricercare in numerose attività umane: poli industriali, impianti di riscaldamento, mezzi pubblici, aziende chimiche, centrali, ecc. L'argomento è complesso e non si può di certo generalizzare, in quanto esiste una legge, esistono impianti a norma e impianti non a norma.

L'importante è che non capiti quello che potremmo chiamare il "paradosso olandese". La notizia risale alla fine del 2015: il boom delle macchine elettriche in Olanda, paese focalizzato sull'ambiente e sull'abbattimento dello smog, ha aumentato il fabbisogno energetico. E lo ha aumentato a tal punto che il governo ha inaugurato tre nuove, economiche e super inquinanti centrali a carbone. È il paradosso dell'auto elettrica che per non inquinare, inquina di più. Sembra il gioco delle tre carte: dove sta l'inghippo? Ai posteri l'ardua sentenza.