‘Parole, parole, parole’; buone per farsi belli agli occhi dei cittadini, ma a volte vuote di significato. Nella fattispecie, quando non sono seguite da fatti. Sta accadendo con il servizio di bike sharing a Roma, al centro delle polemiche per il buco nell’acqua che si sta rivelando; eppure non è la prima volta che simili iniziative, animate da lodevoli intenti, vengono ì strombazzate a destra e a manca, ma senza poi essere portate avanti in maniera adeguata.

Nella Capitale il servizio di bike sharing è sempre rimasto una ‘incompiuta’: affidato in un primo tempo a Cemusa, una società  spagnola, è passato nel 2009 sotto l’egida dell’Atac, che si è dimostrata non all’altezza del compito. Fa dunque un po’ sorridere apprendere oggi che, nel breve periodo, si preveda per il servizio un ampliamento. Da 29 le ciclostazioni dovrebbero diventare 80, provviste di circa 1200 stalli e 1000 biciclette. Proclami cui si stenta un po’ a credere, considerate la realtà  odierna.
Una realtà  fatta di stazioni lasciate al degrado, mal segnalate, prive di bici a disposizione e, il più delle volte, impropriamente utilizzate come parcheggi per motorini. Pochissime le biciclette disponibili, alcune addirittura rotte: il perchè è presto detto, la maggior parte è stata rubata, complice un sistema di sicurezza debolissimo. Il tutto al costo non risibile di 1,6 milioni di euro, cifra richiesta dalla realizzazione del fallimentare progetto.

Un vero peccato, insomma: per i soldi sprecati, certo, ma ancora una volta per il fatto di aver gettato alle ortiche una iniziativa dalle nobilissime premesse, che è stata sviluppata senza lungimiranza. Con il risultato, fra gli altri, di una sonora figuraccia nell’inevitabile confronto con altre capitali europee: Parigi, Londra, Barcellona, e tutto sommato anche Milano, dove invece il servizio ha preso piede (anzi, pedale) con buoni risultati.

Perchè dunque non sforzarsi per fare ì che un progetto abbia un futuro che vada oltre la lusinghiera rassegna stampa e gli squilli di tromba che invitabilmente ne accompagnano il debutto? Perchè non avere il coraggio di metterlo in mano a privati in grado di gestirlo? Vale per il bike sharing, certo, ma anche per il car sharing, che prende le mosse da un principio di fondo simile e che, se ben gestito (pensiamo a Enjoy o Car2Go) puಠriscuotere un ampissimo consenso, contribuendo in maniera significativa a migliorare la qualità  della vita di chi abita in città .