La mobilità può, in buona misura, essere indicata come uno di quei fenomeni rappresentativi della “crisi urbana”. Proprio dalla mobilità derivano le diverse emergenze (traffico, qualità dell’aria, salute, ambiente, effetto serra, qualità degli spazi urbani, …) che declinano i differenti aspetti della crisi.

In questa sede è superfluo stilare un elenco delle situazioni critiche che quotidianamente si propongono sullo scenario cittadino. E’ però opportuno ricercarne le cause, e l’elenco potrebbe essere molto lungo, ma, fra le tante, se ne potrebbero indicare almeno due:

  • lo sviluppo urbanistico non sempre supportato da una adeguata politica dei trasporti (e viceversa);

  • il ritardo che, rispetto ad alcune città europee, le nostre città scontano nella dotazione di infrastrutture per il trasporto pubblico.

    Varrebbe forse la pena di rilevare come la realizzazione delle infrastrutture nel nostro Paese sia stata guidata, quasi prevalentemente, da una politica tesa alle lunghe distanze, anche per una oggettiva necessità di riequilibrio territoriale e di avvicinamento di una parte del Paese (economicamente arretrata) ad una più dinamica. In questo processo di infrastrutturazione, scarsa attenzione è stata posta alle aree urbane (centri di produzione di eccellenza) dove si “consuma” gran parte della mobilità generata.

    Negli anni ’60 i tedeschi, più avanti rispetto all’Italia nello sviluppo della loro rete autostradale, spiegarono (intervento di Fritz Heller, ministro del consiglio, al congresso dei trasporti di Genova del 1961) i limiti di quelle che in Germania si chiamano Fernstrassen, strade per andar lontano, utilizzate invece per andare vicino.

    Nel 1986 il CENSIS da una indagine effettuata sulla rete autostradale del Centro-Nord rilevava che circa il 57% degli spostamenti autostradali avevano una percorrenza media inferiore ai 50 km. Nel 1996, la Società Autostrade S.p.A. dichiara che: “Risulta evidente come una quota rilevante dei transiti autostradali sia concentrata intorno ai grandi centri urbani ….. i percorsi al di sotto di 50 km costituiscono il 57% del totale e quelli sotto i 25 km sono oltre il 30%” (Autostrade S.p.A., relazione e bilancio 1996).

    Non è il caso di indicare il ritardo delle soluzioni, o la mancanza di soluzioni, rispetto alla dinamica delle città . Basta scendere in strada a piedi (il pedone, chi è costui?), in bici, in macchina e poi aspettare l’autobus, la metro, il TPL di oggi.

    Il tema suggerito sembra, quindi, proporre una diversa suggestione che riguarda il necessario recupero del divario accumulato rispetto ad altre organizzazioni urbane più mature (ed è necessario valicare le Alpi per visitarle). Divario che non si misura solo in termini di nuove infrastrutture, anche se proprio qui scontiamo il ritardo maggiore, ma nella definizioni di tempi di reazione alle sollecitazioni della dinamica delle città : meno lenti e, soprattutto certi. E’ indispensabile, però, un “disegno della città ” in grado di “governare” la dinamica della città stessa (e quindi anche la domanda di mobilità ), secondo una strategia e tempi definiti. Nell’ambito di questa strategia possono essere ricomposti i temi dello sviluppo urbanistico, sicuramente non disgiunti da quelli della mobilità e del TPL.

    Strategia che si propone di superare il governo delle varie emergenze (smog) introducendo anche i “primi elementi di regolazione” della mobilità privata (mercato decisamente deregolamentato) accanto alle infrastrutture (metro, tram, people mover….), allo sviluppo del trasporto collettivo, promovendo per esempio: nuove tecnologie per il TPL, sistemi tariffari integrati, orari coordinati, integrazione modale (un orario, una tariffa un biglietto), sistemi a chiamata, car pooling, car sharing, etc. Idee per una mobilità intelligente che peraltro la città di Genova sta sviluppando ed attuando.

    Dalle esperienze avviate in altri contesti urbani e metropolitani europei, e da quelle più recenti italiane, sembra emergere che le “idee per una mobilità intelligente” convergano verso un approccio che travalica il tradizionale “inseguire la domanda di mobilità ” con nuove infrastrutture. La nuova frontiera è rappresentata proprio dal “governo” della domanda di mobilità attraverso il “governo” delle trasformazioni urbane e territoriali e delle funzioni d’uso. Un esempio potrebbe essere la “cura del ferro” all’interno del nuovo Piano Regolatore per la città di Roma.

    Anche a Genova la questione relativa alla riqualificazione del fronte del porto, al riutilizzo delle aree dimesse della Val Polcevera, della Fiumara e delle aree di Cornigliano sollecita una riflessione sul processo di governo delle operazioni di trasformazioni urbanistiche per alleviare i carichi urbanistici apportati. Tema, per esempio, affrontato per il nuovo insediamento del Ponte Parodi su cui si sta conducendo una verifica degli impatti sulla viabilità e sul sistema dei trasporti. Scelta urbanistica supportata, peraltro, da un efficace sistema di trasporto come la metropolitana, dalla rete filoviaria (in corso di estensione) e dal sistema dei parcheggi.

    Le scelte infrastrutturali, quindi, e ci si riferisce per esempio al tunnel sottomarino oppure alla questione del passante autostradale (basso, alto), del proseguimento della metro oltre Brignole è opportuno che siano inserite in un disegno della città che sia funzionale alle diverse opzioni o ai diversi tracciati e, viceversa, le diverse opzioni in tema di trasporti devono supportare le scelte urbanistiche ed il processo di trasformazione del territorio.

    E’ opportuno rilevare che molte delle operazioni di valorizzazione immobiliare (di trasformazione urbanistica) realizzate nelle città europee (il recupero dei docks di Londra per esempio) hanno comportato anche un beneficio pubblico (nel caso dei docks una nuova linea di metropolitana) con un costo sostenuto dall’investitore privato (l’operatore immobiliare). Anche nelle nostre città , il pianificatore pubblico, sviluppando le figure professionali necessarie, potrà negoziare le possibili ricadute positive per la città : una nuova infrastruttura di trasporto oppure altre opere pubbliche.

    La funzione propria degli enti locali nel “decidere” verso quali aree indirizzare lo sviluppo urbanistico della città (inteso anche come riutilizzo di aree dimesse o sottoutilizzate) dà alla Pubblica Amministrazione un forte potere di contrattazione con gli operatori privati interessati, per poter “spuntare” la realizzazione di opere i cui benefici si possono estendere al di là dell’area di intervento. Su questo versante la città di Genova sconta una scarsa attenzione verso questi temi. Per esempio la non sufficiente dotazione di parcheggi per i residenti (a Genova il problema non sono le auto in movimento ma le auto ferme) rileva uno sviluppo edilizio che non sempre è stato “governato” pienamente dalla città .

    Il programma di investimenti della città di Genova tende al recupero di quel ritardo che ha caratterizzato le nostre città nella dotazione di infrastrutture per il trasporto pubblico. Ma anche il programma di trasformazione urbanistica (per esempio: Porto Antico, Fiumara e poi le aree della Val Polcevera) potrebbe consentire all’Amministrazione Pubblica di “contrattare” con gli investitori privati la realizzazione di opere che mitighino il carico dei nuovi insediamenti e supportino le scelte effettuate con una adeguata infrastrutturazione delle aree interessate.

    L’integrazione fra le scelte urbanistiche e quelle trasportistiche consentirebbe di affrontare alcune delle questioni di mobilità che interessano l’area genovese come per esempio:

  • l’accesso alla Grande Genova (i cui livelli di congestione sono facilmente rilevabili ai caselli autostradali);

  • la sosta, cioè la difficoltà di trovare parcheggio nelle aree residenziali e nelle fasce orarie di morbida (cioè nei periodi in cui gran parte delle autovetture sono ferme).

    Risulta evidente che sarebbe opportuno intercettare i flussi veicolari in ingresso il più vicino possibile ai luoghi di origine dello spostamento, potenziando il trasporto pubblico (la proposta di metropolitanizzazione dei servizi ferroviari segue questa direzione) oppure dotando di parcheggi di interscambio (i più esterni possibile, sul modello di Famagosta a Milano, e per Genova si può pensare di realizzare parcheggi, anche in struttura, nelle adiacenze dei principali caselli autostradali metropolitani) gli accessi principali della città serviti da un servizio di trasporto pubblico frequente. E’ questa una indicazione che chiaramente deve essere sostenuta:

  • da una politica di “regolazione” del traffico privato diretto verso le aree centrali che, proprio per essere risorsa scarsa rispetto alla domanda di accessibilità , potrebbero essere sottoposte ad un regime tariffario che disincentivi l’accesso ai veicoli privati;

  • da un più rigido controllo della sosta illegale;

  • da una rete di servizi di trasporto pubblico in grado di fornire un valida alternativa al disincentivo introdotto per il traffico privato.

    Sul versante del trasporto pubblico, oltre agli interventi in corso di attuazione e quelli che saranno avviati nel breve periodo (riattivazione della linea filoviaria e prolungamento verso Sampierdarena), c’è da rilevare l’uso intensivo che ne viene fatto. Circa il 43% degli spostamenti che interessano il territorio di Genova sono effettuati con mezzi pubblici (autobus, treno e metro), quota modale che è possibile rilevare nelle realtà metropolitane dotate di una più articolata rete metropolitana e tranviaria (per esempio Milano).

    Se, quindi, le condizioni sono queste, ne deriva, ribadendo quanto è stato detto finora, che il trasferimento di ulteriori quote di traffico dal trasporto privato a quello pubblico implica, oltre agli interventi di riqualificazione del sistema, anche l’attuazione di una incisiva politica di investimenti sulla città , finalizzata all’integrazione delle diverse modalità di trasporto, e di regolazione del traffico privato.

    Valentino Zanin – clickmobility.it