Per chi opera nel mondo del parcheggio Donald Shoup (ricercatore, esperto in pianificazione urbana ed economista americano) è praticamente un guru, ed è una sorta di Bibbia il suo illuminante saggio The High Cost of Free Parking (Il caro prezzo del parcheggio gratuito).

In questo libro, che mira a rivoluzionare le politiche di parcheggio, Shoup sintetizza il suo pensiero in tre punti fondamentali: liberarsi dal vincolo dei requisiti minimi richiesti per un parcheggio, applicare alla sosta su strada tariffe che generino un tasso di occupazione pari a circa l’85% di tutti i parcheggi disponibili e permettere agli automobilisti di trovare sempre qualche posto libero in ogni isolato; e, infine, investire gli utili generati dalla sosta per finanziare servizi pubblici aggiuntivi, migliorando la vivibilità dei quartieri.

Paul Barter, esperto in politiche urbane e dei trasporti e autorevole contributor del sito www.reinventingparking.org, prende le mosse dalle giuste considerazioni di Shoup per evidenziare come una ulteriore “rivoluzione” nel modo di concepire il parcheggio potrebbe addirittura migliorare gli scenari proposti dal guru californiano.

Il fulcro di questa proposta? Incoraggiare la maggior parte dei parcheggi a essere aperti al pubblico, anche quando di proprietà privata; o, ancora, spingere luoghi di diversa destinazione a diventare zone di parcheggio. Significa, insomma, costruire parcheggi collettivi locali, che incoraggino un sistema di mobilità più multimodale e meno dipendente dall’auto.

Come giungere a questo risultato?  Barter ha stilato una vera e propria “to do list”, riassumendovi gli step che le amministrazioni locali dovrebbero intraprendere per centrare l’obiettivo, coinvolgendo il maggior numero possibile di “attori” operanti nelle zone urbane interessate dalla ripianificazione del parcheggio.

Spulciando nel suo “decalogo” (anzi, a dire il vero qualcosina di più, visto che sono davvero molti i punti di cui si compone la lista) possiamo individuare diverse indicazioni che ci fanno capire meglio che cosa s’intenda con il concetto di “walkable parking”.

 

In base a una visione della sosta che si ritiene superata, ogni edificio dovrebbe soddisfare la propria domanda di parcheggio con un parking annesso. Secondo la nuova visione, invece, un parcheggio è in grado di servire un intero quartiere, e non un unico luogo; purché questo sia aperto e facilmente raggiungibile dal pubblico, in auto e a piedi. Tutto ciò consentirebbe, fra l’altro, di non esagerare con la costruzione di nuovi parcheggi; e, altra cosa di non poco conto, favorirebbe gli esercizi commerciali di un’intera zona, soprattutto se non centrale.

Pensiamoci bene: se sappiamo di doverci recare in un luogo dotato del suo parcheggio saliamo in auto e puntiamo dritto alla nostra destinazione, senza contemplare neanche per un momento l’idea di esplorare il contesto in cui si trova, sostare in un bar, fare un acquisto al volo o una spesa “espressa” in un supermercato della zona.

Naturalmente le amministrazioni dovrebbero venire incontro ai privati desiderosi di aprire al pubblico i propri parcheggi: spesso, infatti, lacune informative e problemi legate ai costi di realizzazione li scoraggiano dal tentare l’impresa.

Abolire i requisiti minimi di parcheggio renderebbe certamente più semplici le cose: questi ultimi – fa notare Barter –  penalizzano i progetti di walkable parking, perché incoraggiano la costruzione di grandi parcheggi in ogni edificio.

L’ottimizzazione degli spazi a disposizione è un altro imperativo essenziale per mettere a punto l’idea. In Australia, per esempio, le amministrazioni locali spesso affiancano più negozi situati su vecchie strade principali per permettere loro di creare un parcheggio pubblico condiviso, a tutto vantaggio di ogni singolo esercente.

Inutile dire che anche municipi e strutture di proprietà della città potrebbero mettere a disposizione posti auto, ovviamente nella misura del possibile. Questo implicherebbe anche una diversa gestione dei parcheggi destinati ai dipendenti che, per guadagnare in flessibilità, dovrebbero essere regolamentati con tariffe giornaliere anziché mensili.

 

Paradossalmente, insomma, non esagerare con la costruzione di parcheggi privati incentiva l’apertura di aree pubbliche, e spinge i proprietari a promuoverli di più, per esempio con accorte politiche di prezzo.

Anche i cittadini, comunque, andrebbero adeguatamente informati e indirizzati verso questo tipo i parcheggi, avere un accesso facilitato agli spazi disponibili ed essere aggiornati in tempo reale sulla disponibilità effettiva di posto. Anche, se adire il vero, qualcosa in questo senso si è già mosso. Mettere a disposizione del pubblico un parcheggio privato è già possibile persino a singoli cittadini, ma purtroppo per ora solo all’estero grazie a specifiche App, perché come sempre le novità più interessanti passano per prima cosa sul palmo di una mano! Peccato che in Italia, a causa di una legislazione poco adatta a comprendere ed adeguarsi alle nuove tecnologie e sistemi Peer to Peer, paghiamo un ritardo che rischia di penalizzare le nostre aziende nella competizione per lo sviluppo di nuovi mercati internazionali.