Nel Vecchio Continente il numero dei senzatetto e di chi versa in uno stato di povertà  assoluta è in forte crescita. Secondo gli ultimi dati Istat, in particolare, in Italia sono 50 mila i senza fissa dimora, e fra questi buona parte è rappresentata da giovani di età  compresa fra i 18 e i 34 anni; non sono inoltre infrequenti i casi di famiglie, o padri separati costretti a fare dell’auto la propria casa. Le forme più diffuse di sostegno, forse per un fatto semplicemente culturale, non sembrano contemplare misure specifiche per chi vive in auto: sono diffusi, soprattutto, i centri di supporto e di aiuto, come le Caritas o le diocesi.

Vivere in un parcheggio per alcune persone, purtroppo, è una triste realtà . Negli Stati Uniti è in crescita il numero dei senzatetto che sono costretti a vivere in auto, ed è per questo che in alcune città  della California sono stati avviati speciali programmi di parcheggio sicuro .

I dati apparsi in un lungo dossier pubblicato sul sito citylab.com sono da brivido. A Los Angeles, per esempio, tra i 50.000 residenti senza fissa dimora sono oltre 15.000 a vivere nella propria auto; e nella zona di King County, dove si trova la città  di Seattle, il numero di senzatetto è aumentato del 15%, di cui quasi la metà  ‘residenti’, loro malgrado fra un sedile e uno sterzo.

Il problema è grave ed è ben chiaro alle diverse amministrazioni cittadine, che lo stanno affrontando in maniere diverse. Il primo programma di parcheggio sicuro è stato lanciato a Santa Barbara nel 2004, con l’apertura, ogni notte, di parcheggi al fine di accogliere famiglie senzatetto in collaborazione con i servizi sociali. Il modello è stato adottato in nuove versioni da altre contee della California, come Los Angeles, Seattle, San Jose, San Francisco e San Diego.

Bisogna infatti considerare che le auto presentano non poche criticità  per chi è costretto a utilizzarle come ricovero notturno. Gli spazi angusti e le posizioni che si assumono nel sonno possono creare problemi fisici; le eventuali perdite di monossido di carbonio potrebbero rivelarsi letali. Anche il rischio di muffe e sgocciolamenti dal tetto è costantemente dietro l’angolo per non parlare degli evidenti problemi igienici, in particolare per chi tiene con sè anche animali per riscaldarsi (fatto non raro), e della frequente carenza di servizi esterni quali toilette e docce.

Non solo. In mancanza di spazi adeguati, anche trovare un luogo in cui parcheggiare è un problema: gli homeless sono infatti esposti al rischio di molestie, furti e minacce, tanto più che in molti quartieri residenziali, con motivazioni anche pretestuose, la possibilità  di parcheggio notturno è spesso limitata, a tutto svantaggio dei senzatetto. Chi vive in auto non viene guardato di buon occhio, ed è diffuso il timore che la presenza di persone che pernottano in auto o in camper possa incrementare la criminalità , l’uso di droghe, la presenza di rifiuti.
I programmi di parcheggio sicuro hanno preso le mosse anche dalla constatazione di quanti posti auto, di notte, restino inutilizzati. Sull’argomento si è pronunciato persino Donald Shoup, forse il più celebre esperto al mondo in fatto di parcheggi (lo abbiamo citato spesso anche in questa sede ndr). Nel suo volume Parking and the City, il ‘guru’ stima che il 14% delle terre incorporate nella contea di Los Angeles siano dedicate al parcheggio.

Sono quindi in molti a identificare i programmi di parcheggio sicuro come un modo molto utile per sfruttare in modo proficuo questi spazi: e certamente quello avviato Oltreoceano è un esperimento a cui dovremmo guardare con grande interesse, prendendolo a esempio e ricalcandolo anche in Europa e in Italia. Da questo punto di vista sarebbe perಠinteressante, prima, riuscire a ‘censire’ come fatto negli USA, il numero di persone costrette a dormire in auto. Non di rado e tristemente, infatti, balzano alle ribalta delle cronache casi di persone licenziate, separate o per le più svariate ragioni finite in povertà  e ridotte a vivere in auto, ma manca una visione d’insieme, con dati precisi, sul fenomeno.

Eppure riuscire a stimarne le proporzioni potrebbe essere un primo passo utile per importare il modello statunitense, che porta con sè non pochi risvolti positivi che si aggiungono alla sua utilità  di fondo: su tutti la decriminalizzazione dei senzatetto, ma anche lo sforzo di sottrarli alla loro condizione con iniziative di reinserimento nella vita sociale e lavorativa non perchè si possa dormire ‘confortevolmente’ e a tempo indeterminato in un parcheggio, ma perchè questa possa diventare il prima possibile un’esperienza da lasciarsi alle spalle.